“Sono le 9, suona la sveglia come ogni mattina.
Ma nulla è come ogni mattina: ogni giorno è peggio. Il freddo aumenta, la stanchezza mi distrugge, la depressione avanza. Trovo la forza per alzarmi, vestirmi con pochi vestiti della mia taglia, con due maglie, un maglione e i leggings sotto i pantaloni per nascondere il corpo e non morire di freddo.
Mi guardo allo specchio, schifata dalla mia pancia e dalle cosce, ma fiera delle costole sporgenti. Eppure non basta mai: so che si possono vedere di più, che quella pancia “maledetta” può sparire.
Scendo in cucina, apro lo sportello e contemplo il cibo: le gocciole sembrano buone, ma troppo caloriche. Così prendo il mio solito yogurt bianco, qualche fragola e qualche galletta. Arriva il caffè, rigorosamente senza latte e senza zucchero… Dio, quanto mi piaceva il cappuccino con due bustine di zucchero. I sensi di colpa iniziano subito: la pancia si gonfia, la nausea mi tormenta.
Esco in fretta per lavoro, cercando di distrarmi. Alle 11 è l’ora dello spuntino: caffè e cioccolata fondente. I colleghi mangiano brioches… quanta gola. Ma DCA dice che non posso permettermelo, quindi mi limito al quadratino di cioccolato e al caffè amaro.
A pranzo la lotta continua: desideri cibi proibiti, ma il disturbo impone un orzotto con la zucca e qualche foglia di insalata. Dopo, i sensi di colpa mi spingono sul divano, borsa dell’acqua calda sulla pancia gonfia.
Fortunatamente ho persone che mi spingono a uscire: vado in centro, bevo un caffè o una spremuta, cercando di distrarmi. Alle 16 la fame torna, ma DCA decide quando posso mangiare: uno yogurt, un frutto, magari un tè caldo.
La cena è il momento più difficile: 100 grammi di pollo, verdure limitate, nessun dolce. Poi esco, ma il panico mi accompagna: rifiutare bevande caloriche, controllare i vestiti, nascondere il corpo. Voglia di sparire, vergogna, ansia…
La giornata sembra finire, ma la mente non si ferma: ansia per la colazione del giorno dopo, pancia gonfia, freddo e stanchezza. Solo le gocce calmanti mi permettono di addormentarmi. Alcune notti, però, gli incubi e gli attacchi di panico interrompono il sonno.
E così inizia un’altra giornata. Qualche volta va meglio, qualche volta peggio, ma dentro di me c’è la voglia di tornare a essere felice. La strada è lunga, ma so che ce la farò.”
Ho scritto questa lettera nel 2022, all’età di 22 anni, per provare a raccontare il mio dolore, ma non ho mai trovato il coraggio di mostrarla a nessuno. Oggi voglio condividerla perché è un esempio chiaro di come una giornata tipo di una persona con DCA non sia solo legata ai pasti, ma a tutto ciò che ruota intorno al cibo, alle uscite, all’attività fisica: ogni momento della vita diventa calcolato in base alle calorie.
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